La Transavanguardia come prodotto ciclico figlio del tempo
Al tramonto degli anni Settanta, con il peggioramento economico presente in quegli anni a causa degli scontri sociali e della crisi energetica, nacque in Italia la Transavanguardia, figlia di Achille Bonito Oliva.
Essa ridimensionò il fermento artistico-culturale italiano con, diremmo semplicisticamente, l’ennesimo “ritorno all’ordine”, «non come ritorno nostalgico – scrive Oliva nel suo Manifesto – come riflusso, ma come flusso che trascina dentro di sé la sedimentazione di molte cose, che scavalcano il semplice ritorno al privato e al simbolico». Fornì anche un’alternativa all’ottimismo sperimentale delle avanguardie, attraverso una ricomparsa di materiali e tecniche pittoriche tradizionali e superando, così, il linguaggio astratto-concettuale delle Neoavanguardie.
Con la Transavanguardia l’arte tornò entro, direbbe Oliva, “la sostanza della pittura”, sancendo la fine di un certo modo di lavorare: «più modernamente, la morte dell’arte rimanda alla constatazione che tale esperienza non riesce più a intaccare i livelli della realtà. E se da una parte viene sottolineata l’impotenza della sovrastruttura (l’arte) rispetto alla struttura (l’economia, la politica), dall’altra si afferma la caduta della produzione artistica da qualità (valore) a quantità (merce). Oggi [1979, NdA] per crisi dell’arte in senso stretto s’intende invece la crisi nell’evoluzione dei linguaggi artistici».
Questa corrente artistica, figlia del proprio tempo ed ennesima testimonianza della ciclicità nell’arte, è caratterizzata da contorni pesanti, netti, illuminati da colori vivaci, accesi, che trasmettono gli impulsi e l’edonismo del creatore dell’opera, che può essere figurativista o astrattista, immaginatore di una realtà atipica oppure attento reverente della materia. Ciò è ininfluente rispetto al tentativo di elargire il prodotto d’artista come visione rivelatrice di un mondo che cambia e che continuerà a cambiare.
Alla fine degli anni ’70 le poetiche artistiche si erano dilatate, perciò chi abbracciò il movimento di Oliva lo fece perché seguiva un proprio percorso individuale, tagliando nel proprio spirito e superando, attraverso il prodotto (le opere) il gusto della società e la moda per seguire unicamente il proprio obiettivo interiore.
Lo stato dell’arte, il nostro mondo dorato ed immaginifico, abbraccia chi vuole vedere l’arte come opportunità, come baluardo, riempiendo soprattutto i vuoti lasciati dalla politica, come quella in declino del XXI secolo.
«Spirito è la vita che taglia nella propria carne, nel suo patire essa accresce il suo sapere» (Nietzsche).
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